Marco Boato - attività politica e istituzionale | ||||||||||||||||
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Trento, 7 dicembre 2014 Nel quadro della crisi politico-istituzionale ed economico-finanziaria che sta attraversando da oltre un quinquennio l’Italia (ma per molti aspetti, pur in modo diseguale, anche l’Europa), non c’è dubbio che stiamo vivendo una analoga crisi anche in Trentino e nell’Alto Adige/Südtirol, nell’ambito regionale e delle due Province autonome. Per questo ha fatto bene il direttore Alberto Faustini, col suo editoriale di domenica 30 novembre ad aprire a tutto campo un dibattito sull’argomento, “provocando” una serie di riflessioni che stanno già spaziando sulle ragioni storiche, sulle radici economiche, sugli assetti istituzionali e anche sulla dimensione culturale della questione autonomistica. Con necessaria schematicità, provo ad indicare da parte mia alcuni punti sintetici su cui discutere. La fase politica attuale. Cito alcuni giudizi, che condiviso pienamente, di Faustini: “Siamo in mezzo ad un attacco senza precedenti”; “La politica e la stampa nazionale dileggiano ogni giorno la nostra realtà”; “La difesa portata avanti dai nostri governanti è debole”; “Regioni e Province sono diventate simbolicamente, in Italia, il principale imputato della crisi delle istituzioni”; “Cercare di prefigurare scenari, costruire vie d’uscita e nuove strategie e non stantie rivendicazioni”. In estrema sintesi, sono queste le parole-chiave, precedute dall’interrogativo radicale, che ha dato il titolo alla riflessione del direttore di questo giornale: “L’Autonomia è provvisoria?”. Per quanto possa sembrare paradossale, personalmente ritengo che la crisi attuale sia la più grave dall’avvento del secondo Statuto del 1971-72, ma che al tempo stesso sia necessario rispondere negativamente alla domanda estrema sulla “provvisorietà” dell’Autonomia trentina e sudtirolese. Dall’Accordo Degasperi-Gruber in poi, dal primo Statuto del 1948 alle risoluzioni dell’ONU del 1960-61, dalla fase del terrorismo sudtirolese al “Pacchetto” del 1969, dal secondo Statuto alla “quietanza liberatoria” dell’Austria nel 1992, dalle innumerevoli Norme di attuazione alla nuova riforma statutaria del 2001, dalla modifica costituzionale dell’art. 116 (“La Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è costituita dalle Province autonome di Trento e Bolzano”) fino all’Accordo di Milano del 2009 e di Roma del 2014, chiunque ne conosca la storia, deve convenire che sarebbe assai difficile immaginare che possa essere spazzato via un assetto istituzionale e costituzionale, che ha alle sue radici un patto internazionale sorto sulle rovine della seconda guerra mondiale e inserito nel Trattato di pace e che ha portato a sviluppi nazionalmente e internazionalmente riconosciuti e sanciti. Eppure è vero che la crisi maturata negli ultimi anni è gravissima e che la risposta trentina e sudtirolese è stata principalmente, e debolmente, in chiave “difensiva”. Il ruolo dei Governi nazionali. Pochi ricordano la vera e propria “sollevazione” parlamentare cui demmo vita nel 2004 di fronte al tentativo del governo Berlusconi di allora di inserire nella propria riforma costituzionale una norma-grimandello che avrebbe svuotato, pur senza cancellarle, tutte le Autonomie speciali. Convocammo, nella sala della Regina alla Camera, tutti i deputati e senatori delle cinque regioni autonome, insieme anche ai presidenti delle province di Trento e Bolzano e agli altri rappresentanti regionali, e facemmo cancellare quella norma, arrivando poi a far inserire per la prima e unica volta il principio dell’”intesa” tra Stato e Regioni per la possibile modifica degli Statuti di autonomia in quel progetto costituzionale, che poi fu bocciato (per altre ragioni) nel successivo referendum del 2006. Se quel tentativo del centro-destra fallì e poi, dopo la breve parentesi del secondo governo Prodi, lo stesso centro-destra stipulò con le Province autonome l’Accordo di Milano del 2009, bisogna riconoscere che l’esplosione della crisi economico-finanziaria mondiale, europea e italiana ha provocato una china discendente, che ha portato ad una aggressione sempre più pesante alle autonomie speciali da parte dei governi Monti, Letta e Renzi. Probabilmente si è trattato del “meno peggio”, ma il recente Accordo di Roma (che dovrà essere inserito nella legge di stabilità ora al Senato) disegna a qual punto sia arrivato l’attacco alle risorse finanziare delle Province autonome da parte del governo Renzi, che pure ha l’alibi (o la giustificazione) di dover far fronte ad una crisi senza precedenti. Le riforme del governo Renzi. Nessuno che sia sano di mente può augurarsi il fallimento del governo Renzi nel tentativo di far uscire l’Italia dalla recessione attuale, ma questa consapevolezza non impedisce di vedere – anche per chi come me fa parte da sempre del centro-sinistra – quale sia invece il disegno politico-istituzionale dell’attuale governo, nel combinato disposto dei progetti di legge elettorale e di riforma costituzionale del Titolo V, che riguarda appunto i rapporti tra Stato e Regioni. Da una parte si cerca di cancellare “manu militari” il pluralismo politico italiano, per passare dal tendenziale bipolarismo della Seconda Repubblica ad un bipartitismo, che non esiste in nessun altro paese europeo (perfino in Gran Bretagna esiste ormai un quadripartitismo). Dall’altra, si punta ad una verticalizzazione del potere statuale, ad una ri-centralizzazione dei poteri in capo allo Stato centrale, ridimensionando drasticamente il ruolo delle autonomie regionali, ordinarie e speciali, e in generale il ruolo delle autonomie locali. Su questo terreno, la tutela delle autonomie speciali dovrebbe non chiudersi in se stessa, ma raccordarsi all’intero sistema regionale. Sarebbe anche un modo per depotenziare le ricorrenti “rivalità” delle regioni ordinarie rispetto alle speciali e per costruire, proprio dai livelli territoriali (di cui tanto si parla, spesso a vuoto) una risposta autonomistica rispetto ad un disegno neo-centralista, che sembra voler riportare l’Italia agli anni ’50 sul piano degli assetti istituzionali. Strategia politica e Terzo Statuto. In questi giorni le cronache giornalistiche sono state attraversate da una sorta di (pur non dichiarata) “sfida” mediatica tra l’attuale (Ugo Rossi) e il precedente (Lorenzo Dellai) presidente della Provincia autonoma di Trento sulle sorti dell’Autonomia, mentre un dibattito analogo non sembra essersi finora sviluppato in Alto Adige, dove pure si vivono problemi del tutto analoghi riguardo ai difficili sviluppi futuri. C’è una falsa contrapposizione tra la “concretezza” del governare quotidiano (Rossi) e la necessità di una nuova “visione” di prospettiva (Dellai). Si tratta ovviamente di un falso dilemma, dietro a cui si nascondono le tensioni che attraversano il centrosinistra autonomista (a fronte di una sostanziale inesistenza politica del centro-destra, in tutt’altre faccende affaccendato), per quanto riguarda le difficoltà che si pongono in settori strategici come la sanità, la ricerca, la cultura e l’ambiente e alla permanente gravità della crisi economica e del lavoro, ma anche a fronte del “nuovo corso” che Rossi ha inaugurato rispetto alla precedente gestione Dellai. Se si vogliono “costruire vie d’uscita e nuove strategie”, come ha sollecitato Alberto Faustini, sarebbe necessario che si sviluppasse un grande “gioco di squadra” tra Trento e Bolzano (e anche Innsbruck, nell’ambito Euregio), tra le due Province autonome e la dimensione nazionale ed europea, chiamando in causa sulle questioni istituzionali anche il ruolo delle opposizioni sia in Trentino che in Alto Adige/Südtirol. Non c’è dubbio che bisogna arrivare a delineare il nuovo Terzo Statuto di autonomia, per il quale il percorso si sta avviando finora sul piano politico, ma è fin d’ora necessario e urgente che si ricomponga un quadro politico senza esclusioni e senza egemonismi. Parlare di “partito di raccolta” in Trentino è semplicemente ridicolo, se si pensa la crisi che sta attraversando l’unico partito di raccolta realmente esistente, la Svp,che deve misurarsi col superamento del richiamo etnico verso una concezione territoriale dell’Autonomia. Marco Boato
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